Di recente ho saputo di una persona di nazionalità russa - ma residente in Italia - cui è stato negato l'accesso nel Regno Unito senza un motivo apparente, solo perché originaria della Federazione Russa. Ovviamente la deformazione professionale ha portato chi scrive queste righe a pensare a come sia tornato nel pianeta uno stato di guerra che seppur non dichiarato di fatto è presente. Certamente le rappresaglie nel cosiddetto mondo occidentale non possono più ritorcersi fisicamente contro i civili inermi, ma di sicuro possono sfruttare canali tacitamente occultati. Questo genere di cose è difficile che si vengano a sapere, coinvolgono per lo più chi le subisce e le alte sfere che non hanno l'interesse a rendere pubbliche realtà che si possono nascondere alle masse.
A cent'anni esatti dallo scoppio del primo conflitto mondiale una più consapevole (?) Europa sta cercando di tenere vivo il ricordo di quegli eventi ormai lontani; e a dirla tutta la nuova generazione non si sta mostrando molto interessata, anche perché le classi dirigenti di molti Paesi europei hanno praticamente abdicato alle loro vere funzioni rendendo di fatto vacuo e opinabile il termine 'democrazia'. Questo per lo meno in luoghi come l'Italia. Insomma si è verificato un tipo di scollamento tra potere costituito e masse molto simile a quello che si è creato prima della Grande Guerra. Inoltre nei diversi Paesi dell'Unione manca ancora un comune modo di fare i conti col passato, tant'è che di certo il ricordo di questo conflitto non è lo stesso in Italia, in Germania, in Serbia, nella Federazione Russa o nel Regno Unito.
In questo articolo non ci si soffermerà solo sull'Europa di ieri e di oggi. Quello che si potrebbe dire della storia è che di uguale non c'è mai nulla, ma sono le somiglianze a colpire tante volte. Se oggi i conflitti nell'Unione Europea sono spariti, ad est del continente ci si ammazza; in quest'ottica locale si sono inseriti i due principali attori di questa nuova 'Guerra Fredda', nella realtà molto meno interessati ad intervenire di quanto si potrebbe credere. Per lo meno per il momento.
Ma a fare paura agli analisti non sono le superpotenze, ma i conflitti nelle periferie, che per altro sono sempre stati i principali focolari di belligeranza. Per chi non se ne fosse accorto sono presenti nel pianeta tutti i sintomi che potrebbero portare ad un terzo conflitto mondiale, soltanto che il suo baricentro iniziale è il Medioriente, non l'Europa (1): che per ora si limita ad osservare dall'esterno l'incerta condizione geopolitica, ma che a breve farà le spese del nuovo stato di guerra. La Federazione Russa ha infatti deciso di bloccare i commerci con i Paesi dell'Unione, questo come reazione alle sanzioni messe in atto.
Certamente parlare in questi termini potrebbe sembrare esagerato a qualcuno, non a chi analizza gli eventi geopolitici in correlazione con quelli storici. La speranza di chi scrive queste righe è quella di prendere una colossale cantonata. Il fatto è che sottovalutare quanto riportato possa ugualmente risultare superficiale. Inoltre l'eurocentrismo è il principale motivo per cui non ci si accorge della gravità della situazione generale e si potrebbero giudicare allarmiste e apocalittiche determinate analisi: stime che per lo meno vanno prese in considerazione.
Tanti conflitti locali che si pensava potessero essere controllabili si stanno espandendo e stanno investendo in pieno il continente asiatico. Per quale motivo è sbagliato leggere gli avvenimenti in modo isolato? Perché è chiaro che l'intera area è interconnessa, oggi più che mai. E mentre il mondo si commuove e si scaglia contro l'invasione di terra perpetuata da parte dell'esercito israeliano nei territori palestinesi ci si dimentica del conflitto civile in Siria che ormai dura da anni e che per certi versi è stato la miccia che sta facendo deflagrare la polveriera ( forse meglio dire la petroliera ) mediorientale. Ma il conflitto in Siria va visto principalmente (2) come una breccia; de facto il caos generato dallo stato permanente di guerra in questo (ex) Paese ha prodotto una situazione incontrollabile e l'instaurarsi di un nuovo potente attore con cui fare i conti: l'Islam radicale di matrice sunnita (3). Questa creatura, figlia ed erede per certi versi dei Fratelli Musulmani si è imposta con le cosiddette Primavere arabe. Per la verità l'Occidente dovrebbe farsi un esame di coscienza, anche perché la destabilizzazione di quest'area è passata dal chiaro sostegno che si è dato a questi movimenti (4) in modo indiretto e diretto. Tutto ciò anche quando si sapeva quali erano i gruppi più organizzati nella fase movimentista che ha preceduto gli attacchi ai vari regimi. Nel caso della Libia ad esempio la Nato è intervenuta manu militari eliminando frettolosamente Gheddafi (5), che di fatto garantiva una stabilità geopolitica dell'area, nonostante fosse stato hitlerizzato o per lo meno saddamizzato nell'immaginario demonologico comune occidentale. Quello che sta succedendo in queste terre a pochi chilometri dalle coste siciliane non può di certo rassicurare.
Nel Levante ad essere già entrati in gioco sono attori che sulla carta risultano non ancora impegnati, ma che nella realtà stanno combattendo da anni non solo nella martoriata Siria, ma anche nel mattatoio iracheno per contrastare e schiacciare la guerriglia dell'Isis. Faccio esplicito riferimento all'Iran, protagonista sempre più imprevedibile e prossimo -con buona probabilità- a diventare il principale alleato geopolitico degli Stati Uniti, con grande preoccupazione di Israele. In questo scenario quelli che un tempo erano i fedelissimi della potenza a stelle e strisce stanno mutando i propri connotati geopolitici in maniera ancora più ambigua; faccio esplicito riferimento all'internazionale wahabita che ha mostrato la pochezza morale e geopolitica della politica dinastica dei Bush in anni ormai dimenticati. A questo potenziale ed improvviso ribaltamento di alleanze potrebbero concorrere il sostegno di Paesi come l'Arabia Saudita (e rispettivi Stati satelliti) alla logica della jihad internazionale e i numerosi anni di embargo all'Iran, che hanno portato quest'ultimo ad accantonare le posizioni più massimaliste e trattare di fatto con gli USA. Dopo essere stato in cima alla lista degli Stati canaglia nelle liste di proscrizione occidentali per decenni -il gigante persiano- è probabilmente diventato il principale interlocutore locale di Washington. Non è di fatto scontato che un domani il post-rivoluzionario Stato sciita non si venda al demone americano in cambio del lasciapassare per poter aumentare la propria politica di influenza e potenza nella regione del vicino Oriente. In tutto questo alla presenza dei miliziani sunniti dell'Isis si aggiunge una nuova forza in Iraq, appoggiata dall'Iran, ossia quella dei miliziani ( per lo più sciiti ) che alla ferocia dei jihadisti si vogliono contrapporre; tutto ciò in assenza di uno Stato che nel dopo Saddam è quasi scomparso.
Il vuoto si è di fatto aperto anche a sud del Mediterraneo e ciò rappresenta il campanello di allarme di una situazione di completo caos dove cercano e si potrebbero cercare di inserire molteplici attori:
1) La Cina che da anni ormai investe e considera una propria area di influenza parte del continente africano; influenza che in assenza di regole precise potrebbe essere ampliata.
2) Il nascente, variegato -ma all'occorrenza compatto- e internazionale potere radicalislamico che sicuramente trova terreno fertile nella parte settentrionale dell'Africa; regione stremata da anni di conflittualità civile e rivoluzioni, che potrebbe cedere all'idea di un ritorno all'ordine anche sotto le mani di forze poco moderate e tolleranti.
3) L'emergere di tendenze neocoloniali da parte di singole potenze occidentali, che già sono state palesi durante l'intervento in Libia del 2011 .
Questo per quanto riguarda la sponda sud del cosiddetto Mare Nostrum, termine e definizione che oramai può chiaramente essere vista con sarcasmo. Ma evidentemente il fare farsesco e gli eufemismi si adattano bene al Paese che ha dato i natali a Pulcinella.
Ma chi pensa che la situazione di crisi coinvolga solo i territori che un tempo erano sotto il dominio Ottomano sbaglia a fare i conti. Ci sono altri focolari pure molto caldi non solo nel Medio, ma anche nell'Estremo Oriente. Le questioni territoriali tra Federazione Russa e Giappone, ma anche quelle tra (ex) Repubblica Popolare Cinese e potenza nipponica non sono affatto da sottovalutare: di fatto esse potrebbero deflagrare in qualsiasi momento e unirsi ad altre situazioni di tensioni presenti nel resto del pianeta, come di fatto è avvenuto nel secondo conflitto mondiale. Inoltre c'è da considerare la situazione della penisola coreana, dove la Repubblica Popolare della Corea del Nord è a un passo dal collasso. Lo scenario che si potrebbe registrare è un inglobamento molto simile a quello all'indomani dell'abbattimento del muro di Berlino fu fatto nei confronti della DDR, che vedrebbe Seul farsi carico di stabilizzare la disastrata situazione dell'ultimo Stato stalinista del pianeta. Questo di fatto in altri momenti sarebbe potuto avvenire senza colpo ferire, ma in questo preciso momento storico potrebbe benissimo essere influenzato da attori che hanno tutt'altro interesse che cedere altre regioni al Blocco Occidentale.
Per quanto riguarda l'Europa bisogna fare subito i conti con i problemi che la guerra (parola che per ora ancora nessuno ha usato, ma che di fatto è presente) con la Federazione Russa potrebbe comportare: la mancanza per il prossimo inverno di partner commerciali. Il tempo dimostrerà se le minacce di Putin sulle docce fredde in Europa saranno veritiere, o se alla fine si cederà a dei compromessi, seguendo di fatto una logica meno nobile ma di certo più redditizia basata sul vile denaro.
Sicuramente l'ex potenza Sovietica (6) potrà trovare altri Stati a cui vendere le proprie risorse del sottosuolo, ma non è detto che questi siano migliori pagatori dell'Europa; essa infatti da un lato rappresenta una causa di instabilità, ma dall'altro ha bisogno di quello che viene dal centro dell'Heartland. Tale fattore mostra in primo luogo un motivo che potrebbe accelerare una frattura con lo strapotere americano che dopo anni di silenzio sta tornando ad alzare la testa, senza peraltro curarsi troppo degli interessi europei che potrebbero in qualche modo essere danneggiati. Di fatto alcuni Stati della Scandinavia hanno già chiesto all'UE risarcimenti per i primi effetti di una guerra che sulla carta è solo commerciale. Questo elemento di certo non è estraneo alle alte sfere di Bruxelles, e potrebbe paradossalmente portare a situazioni di conflitto. Non è un mistero infatti che spesso quando tra alleati nascono delle divergenze il miglior modo per appianarle è proprio quello di combattere un nemico esterno. E per degli Usa isolazionisti (7) l'unico modo per poter evitare una politica più autonoma dell'Ue è proprio quello di uscire da questo forzato isolamento e schierarsi attorno ad un nemico comune: le scuse per entrare in guerra potevano essere ieri l'abbattimento di una nave da parte di un sommergibile, oggi quello di un aereo che andava in Malaysia. Questo dimostra che le carte in gioco ci sono tutte, ad essere cambiati sono solo i tempi che hanno reso obsolete talune tecniche, creandone di più sofisticate. A ciò è da aggiungere l'intromissione di hacker russi nel sistema informatico delle banche americane, dopo che la Federazione è uscita dal circuito VISA. Insomma: non si può sottovalutare nessuna ipotesi, neanche quelle di tipo più fatalista.
Altra grande incognita è rappresentata dall'America del Sud, geopoliticamente sempre più divisa tra adesione al Blocco Occidentale e slittamento in quello che un tempo era definito 'Asse del Male'. Di fatto Argentina, Brasile e Venezuela rappresentano degli Stati che potrebbero mutare rapidamente le sorti della geopolitica internazionale, per altro i due dove si parla la lingua spagnola conoscono per il momento forti situazioni di tensione e potenzialmente avrebbero molto da guadagnare da un cambiamento nella bilancia politica ed economica del pianeta. Per altro si tratta di Paesi che di certo sono già dichiaratamente anti americani. Il Brasile per di più ha già fatto le spese della propaganda avversa di bassa intensità che si è scatenata durante i mondiali nei Paesi occidentali. Il Venezuela ha al suo interno una guerra civile, cui non sono estranee le manovre di Washington.
In tutto il globo, mai come oggi da decenni a questa parte, le tensioni sono presenti; non mancano neanche i potenziali ribaltamenti di alleanze strategiche ed economiche che potrebbero cambiare la storia in un modo completamente inaspettato. Quello che è garantito è che siamo di fatto in guerra, non ci sono più le trincee, le baionette e i reticolati: per lo meno non in Europa. Mi correggo, per lo meno non in Europa occidentale. Queste pratiche le si lascia a quelle porzioni di mondo non ancora illuminate. Almeno per il momento. Per quanto riguarda le classi politiche degli Stati dell'Unione sarà necessario che queste rispondano positivamente alle avvisaglie che oramai si sono fatte troppo insistenti ed evitare di trascinare pure l'Europa in un potenziale baratro.
(1) La questione Ucraina è la chiara dimostrazione che il Vecchio Continente non è immune da questo conflitto, cui non sono estranei neanche situazioni di crisi anche all'interno di Paesi dell'Unione che non andrebbero sottovalutate.
(2) Cinicamente, dato che si tratta già di suo di un conflitto cruentissimo.
(3) Per la verità abbastanza eterogeneo al suo interno.
(4) Chiaramente all'interno delle opposizioni di tutti i Paesi investiti dall'abbattimento delle varie dittature erano presenti componenti molto diverse: ma è indubbio che alla lunga hanno prevalso quelle islamiche e radicali un po' ovunque, per la verità quelle organizzate meglio.
(5) Data che per altro distanzia di cento anni esatti la guerra di aggressione che l'Italia liberale condusse ai danni di queste regioni nel secolo scorso, sempre per quanto riguarda la tematica dei corsi e ricorsi storici.
(6) Potenza che emula e tesse le lodi della guerra patriottica combattuta durante il secondo conflitto mondiale dal regime di Stalin, figura che sta venendo in qualche modo riabilitata nel Paese da qualche anno a questa parte.
(7) La storia insegna che gli Usa sono sempre stati isolazionisti prima dei grandi conflitti mondiali. Anche se in questo ben preciso momento storico il Paese è in preda a disordini interni che potrebbero aumentare.
A cent'anni esatti dallo scoppio del primo conflitto mondiale una più consapevole (?) Europa sta cercando di tenere vivo il ricordo di quegli eventi ormai lontani; e a dirla tutta la nuova generazione non si sta mostrando molto interessata, anche perché le classi dirigenti di molti Paesi europei hanno praticamente abdicato alle loro vere funzioni rendendo di fatto vacuo e opinabile il termine 'democrazia'. Questo per lo meno in luoghi come l'Italia. Insomma si è verificato un tipo di scollamento tra potere costituito e masse molto simile a quello che si è creato prima della Grande Guerra. Inoltre nei diversi Paesi dell'Unione manca ancora un comune modo di fare i conti col passato, tant'è che di certo il ricordo di questo conflitto non è lo stesso in Italia, in Germania, in Serbia, nella Federazione Russa o nel Regno Unito.
In questo articolo non ci si soffermerà solo sull'Europa di ieri e di oggi. Quello che si potrebbe dire della storia è che di uguale non c'è mai nulla, ma sono le somiglianze a colpire tante volte. Se oggi i conflitti nell'Unione Europea sono spariti, ad est del continente ci si ammazza; in quest'ottica locale si sono inseriti i due principali attori di questa nuova 'Guerra Fredda', nella realtà molto meno interessati ad intervenire di quanto si potrebbe credere. Per lo meno per il momento.
Ma a fare paura agli analisti non sono le superpotenze, ma i conflitti nelle periferie, che per altro sono sempre stati i principali focolari di belligeranza. Per chi non se ne fosse accorto sono presenti nel pianeta tutti i sintomi che potrebbero portare ad un terzo conflitto mondiale, soltanto che il suo baricentro iniziale è il Medioriente, non l'Europa (1): che per ora si limita ad osservare dall'esterno l'incerta condizione geopolitica, ma che a breve farà le spese del nuovo stato di guerra. La Federazione Russa ha infatti deciso di bloccare i commerci con i Paesi dell'Unione, questo come reazione alle sanzioni messe in atto.
Certamente parlare in questi termini potrebbe sembrare esagerato a qualcuno, non a chi analizza gli eventi geopolitici in correlazione con quelli storici. La speranza di chi scrive queste righe è quella di prendere una colossale cantonata. Il fatto è che sottovalutare quanto riportato possa ugualmente risultare superficiale. Inoltre l'eurocentrismo è il principale motivo per cui non ci si accorge della gravità della situazione generale e si potrebbero giudicare allarmiste e apocalittiche determinate analisi: stime che per lo meno vanno prese in considerazione.
Tanti conflitti locali che si pensava potessero essere controllabili si stanno espandendo e stanno investendo in pieno il continente asiatico. Per quale motivo è sbagliato leggere gli avvenimenti in modo isolato? Perché è chiaro che l'intera area è interconnessa, oggi più che mai. E mentre il mondo si commuove e si scaglia contro l'invasione di terra perpetuata da parte dell'esercito israeliano nei territori palestinesi ci si dimentica del conflitto civile in Siria che ormai dura da anni e che per certi versi è stato la miccia che sta facendo deflagrare la polveriera ( forse meglio dire la petroliera ) mediorientale. Ma il conflitto in Siria va visto principalmente (2) come una breccia; de facto il caos generato dallo stato permanente di guerra in questo (ex) Paese ha prodotto una situazione incontrollabile e l'instaurarsi di un nuovo potente attore con cui fare i conti: l'Islam radicale di matrice sunnita (3). Questa creatura, figlia ed erede per certi versi dei Fratelli Musulmani si è imposta con le cosiddette Primavere arabe. Per la verità l'Occidente dovrebbe farsi un esame di coscienza, anche perché la destabilizzazione di quest'area è passata dal chiaro sostegno che si è dato a questi movimenti (4) in modo indiretto e diretto. Tutto ciò anche quando si sapeva quali erano i gruppi più organizzati nella fase movimentista che ha preceduto gli attacchi ai vari regimi. Nel caso della Libia ad esempio la Nato è intervenuta manu militari eliminando frettolosamente Gheddafi (5), che di fatto garantiva una stabilità geopolitica dell'area, nonostante fosse stato hitlerizzato o per lo meno saddamizzato nell'immaginario demonologico comune occidentale. Quello che sta succedendo in queste terre a pochi chilometri dalle coste siciliane non può di certo rassicurare.
Nel Levante ad essere già entrati in gioco sono attori che sulla carta risultano non ancora impegnati, ma che nella realtà stanno combattendo da anni non solo nella martoriata Siria, ma anche nel mattatoio iracheno per contrastare e schiacciare la guerriglia dell'Isis. Faccio esplicito riferimento all'Iran, protagonista sempre più imprevedibile e prossimo -con buona probabilità- a diventare il principale alleato geopolitico degli Stati Uniti, con grande preoccupazione di Israele. In questo scenario quelli che un tempo erano i fedelissimi della potenza a stelle e strisce stanno mutando i propri connotati geopolitici in maniera ancora più ambigua; faccio esplicito riferimento all'internazionale wahabita che ha mostrato la pochezza morale e geopolitica della politica dinastica dei Bush in anni ormai dimenticati. A questo potenziale ed improvviso ribaltamento di alleanze potrebbero concorrere il sostegno di Paesi come l'Arabia Saudita (e rispettivi Stati satelliti) alla logica della jihad internazionale e i numerosi anni di embargo all'Iran, che hanno portato quest'ultimo ad accantonare le posizioni più massimaliste e trattare di fatto con gli USA. Dopo essere stato in cima alla lista degli Stati canaglia nelle liste di proscrizione occidentali per decenni -il gigante persiano- è probabilmente diventato il principale interlocutore locale di Washington. Non è di fatto scontato che un domani il post-rivoluzionario Stato sciita non si venda al demone americano in cambio del lasciapassare per poter aumentare la propria politica di influenza e potenza nella regione del vicino Oriente. In tutto questo alla presenza dei miliziani sunniti dell'Isis si aggiunge una nuova forza in Iraq, appoggiata dall'Iran, ossia quella dei miliziani ( per lo più sciiti ) che alla ferocia dei jihadisti si vogliono contrapporre; tutto ciò in assenza di uno Stato che nel dopo Saddam è quasi scomparso.
Il vuoto si è di fatto aperto anche a sud del Mediterraneo e ciò rappresenta il campanello di allarme di una situazione di completo caos dove cercano e si potrebbero cercare di inserire molteplici attori:
1) La Cina che da anni ormai investe e considera una propria area di influenza parte del continente africano; influenza che in assenza di regole precise potrebbe essere ampliata.
2) Il nascente, variegato -ma all'occorrenza compatto- e internazionale potere radicalislamico che sicuramente trova terreno fertile nella parte settentrionale dell'Africa; regione stremata da anni di conflittualità civile e rivoluzioni, che potrebbe cedere all'idea di un ritorno all'ordine anche sotto le mani di forze poco moderate e tolleranti.
3) L'emergere di tendenze neocoloniali da parte di singole potenze occidentali, che già sono state palesi durante l'intervento in Libia del 2011 .
Questo per quanto riguarda la sponda sud del cosiddetto Mare Nostrum, termine e definizione che oramai può chiaramente essere vista con sarcasmo. Ma evidentemente il fare farsesco e gli eufemismi si adattano bene al Paese che ha dato i natali a Pulcinella.
Ma chi pensa che la situazione di crisi coinvolga solo i territori che un tempo erano sotto il dominio Ottomano sbaglia a fare i conti. Ci sono altri focolari pure molto caldi non solo nel Medio, ma anche nell'Estremo Oriente. Le questioni territoriali tra Federazione Russa e Giappone, ma anche quelle tra (ex) Repubblica Popolare Cinese e potenza nipponica non sono affatto da sottovalutare: di fatto esse potrebbero deflagrare in qualsiasi momento e unirsi ad altre situazioni di tensioni presenti nel resto del pianeta, come di fatto è avvenuto nel secondo conflitto mondiale. Inoltre c'è da considerare la situazione della penisola coreana, dove la Repubblica Popolare della Corea del Nord è a un passo dal collasso. Lo scenario che si potrebbe registrare è un inglobamento molto simile a quello all'indomani dell'abbattimento del muro di Berlino fu fatto nei confronti della DDR, che vedrebbe Seul farsi carico di stabilizzare la disastrata situazione dell'ultimo Stato stalinista del pianeta. Questo di fatto in altri momenti sarebbe potuto avvenire senza colpo ferire, ma in questo preciso momento storico potrebbe benissimo essere influenzato da attori che hanno tutt'altro interesse che cedere altre regioni al Blocco Occidentale.
Per quanto riguarda l'Europa bisogna fare subito i conti con i problemi che la guerra (parola che per ora ancora nessuno ha usato, ma che di fatto è presente) con la Federazione Russa potrebbe comportare: la mancanza per il prossimo inverno di partner commerciali. Il tempo dimostrerà se le minacce di Putin sulle docce fredde in Europa saranno veritiere, o se alla fine si cederà a dei compromessi, seguendo di fatto una logica meno nobile ma di certo più redditizia basata sul vile denaro.
Sicuramente l'ex potenza Sovietica (6) potrà trovare altri Stati a cui vendere le proprie risorse del sottosuolo, ma non è detto che questi siano migliori pagatori dell'Europa; essa infatti da un lato rappresenta una causa di instabilità, ma dall'altro ha bisogno di quello che viene dal centro dell'Heartland. Tale fattore mostra in primo luogo un motivo che potrebbe accelerare una frattura con lo strapotere americano che dopo anni di silenzio sta tornando ad alzare la testa, senza peraltro curarsi troppo degli interessi europei che potrebbero in qualche modo essere danneggiati. Di fatto alcuni Stati della Scandinavia hanno già chiesto all'UE risarcimenti per i primi effetti di una guerra che sulla carta è solo commerciale. Questo elemento di certo non è estraneo alle alte sfere di Bruxelles, e potrebbe paradossalmente portare a situazioni di conflitto. Non è un mistero infatti che spesso quando tra alleati nascono delle divergenze il miglior modo per appianarle è proprio quello di combattere un nemico esterno. E per degli Usa isolazionisti (7) l'unico modo per poter evitare una politica più autonoma dell'Ue è proprio quello di uscire da questo forzato isolamento e schierarsi attorno ad un nemico comune: le scuse per entrare in guerra potevano essere ieri l'abbattimento di una nave da parte di un sommergibile, oggi quello di un aereo che andava in Malaysia. Questo dimostra che le carte in gioco ci sono tutte, ad essere cambiati sono solo i tempi che hanno reso obsolete talune tecniche, creandone di più sofisticate. A ciò è da aggiungere l'intromissione di hacker russi nel sistema informatico delle banche americane, dopo che la Federazione è uscita dal circuito VISA. Insomma: non si può sottovalutare nessuna ipotesi, neanche quelle di tipo più fatalista.
Altra grande incognita è rappresentata dall'America del Sud, geopoliticamente sempre più divisa tra adesione al Blocco Occidentale e slittamento in quello che un tempo era definito 'Asse del Male'. Di fatto Argentina, Brasile e Venezuela rappresentano degli Stati che potrebbero mutare rapidamente le sorti della geopolitica internazionale, per altro i due dove si parla la lingua spagnola conoscono per il momento forti situazioni di tensione e potenzialmente avrebbero molto da guadagnare da un cambiamento nella bilancia politica ed economica del pianeta. Per altro si tratta di Paesi che di certo sono già dichiaratamente anti americani. Il Brasile per di più ha già fatto le spese della propaganda avversa di bassa intensità che si è scatenata durante i mondiali nei Paesi occidentali. Il Venezuela ha al suo interno una guerra civile, cui non sono estranee le manovre di Washington.
In tutto il globo, mai come oggi da decenni a questa parte, le tensioni sono presenti; non mancano neanche i potenziali ribaltamenti di alleanze strategiche ed economiche che potrebbero cambiare la storia in un modo completamente inaspettato. Quello che è garantito è che siamo di fatto in guerra, non ci sono più le trincee, le baionette e i reticolati: per lo meno non in Europa. Mi correggo, per lo meno non in Europa occidentale. Queste pratiche le si lascia a quelle porzioni di mondo non ancora illuminate. Almeno per il momento. Per quanto riguarda le classi politiche degli Stati dell'Unione sarà necessario che queste rispondano positivamente alle avvisaglie che oramai si sono fatte troppo insistenti ed evitare di trascinare pure l'Europa in un potenziale baratro.
(1) La questione Ucraina è la chiara dimostrazione che il Vecchio Continente non è immune da questo conflitto, cui non sono estranei neanche situazioni di crisi anche all'interno di Paesi dell'Unione che non andrebbero sottovalutate.
(2) Cinicamente, dato che si tratta già di suo di un conflitto cruentissimo.
(3) Per la verità abbastanza eterogeneo al suo interno.
(4) Chiaramente all'interno delle opposizioni di tutti i Paesi investiti dall'abbattimento delle varie dittature erano presenti componenti molto diverse: ma è indubbio che alla lunga hanno prevalso quelle islamiche e radicali un po' ovunque, per la verità quelle organizzate meglio.
(5) Data che per altro distanzia di cento anni esatti la guerra di aggressione che l'Italia liberale condusse ai danni di queste regioni nel secolo scorso, sempre per quanto riguarda la tematica dei corsi e ricorsi storici.
(6) Potenza che emula e tesse le lodi della guerra patriottica combattuta durante il secondo conflitto mondiale dal regime di Stalin, figura che sta venendo in qualche modo riabilitata nel Paese da qualche anno a questa parte.
(7) La storia insegna che gli Usa sono sempre stati isolazionisti prima dei grandi conflitti mondiali. Anche se in questo ben preciso momento storico il Paese è in preda a disordini interni che potrebbero aumentare.